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La tela, descritta come “quadretto mobile” da Marco Boschini (Le ricche minere della pittura veneziana, 1674), è di piccolo formato e si trovava originariamente nella chiesa annessa al convento di Sant’Antonio di Castello, distrutti nel 1807. Il soggetto raffigurato si riferisce a un episodio avvenuto nel 1511: durante lo scoppio di una pestilenza nel convento il priore Francesco Ottobon, ritiratosi in preghiera presso l’altare di sant’Antonio Abate, vede apparire i diecimila martiri del monte Ararat guidati in processione da san Pietro, che nel mezzo della navata pronuncia una benedizione. Dal momento che la peste viene sanata a seguito della visione, quest’opera potrebbe essere stata commissionata quale ex voto a ricordo del miracolo, ipotesi che troverebbe conferma nelle dimensioni ridotte della tela. Nonostante siano stati espressi dubbi in passato circa l’autografia del dipinto, la critica ha recentemente confermato l’attribuzione a Carpaccio, sottolineandone l’eccezionale rilevanza quale documento visivo dello stato della chiesa a inizio Cinquecento. Ai tradizionali arredi gotici, quali i polittici dorati alle pareti e il ricco barco ligneo, si aggiunge un altare marmoreo classicheggiante che ospita una pala centinata di grande formato – dove verrà collocata poi la Crocifissione dei diecimila martiri del medesimo autore (1515, Venezia, Gallerie dell’Accademia, cat. 89, sala II): si tratta di un tentativo di aggiornamento stilistico sulle nuove forme del Rinascimento promosso dallo stesso priore Ottobon nei primi decenni del sedicesimo secolo. La presenza, inoltre, di numerosi ex voto appesi al barco e alle travi, tra cui si riconoscono riproduzioni di imbarcazioni e strumenti nautici, è prova di una compagine sociale composta prevalentemente da operai e artigiani impiegati presso l’Arsenale.