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In un ambiente indefinito, che sembra evocare da una parte lo spazio raccolto di una semplice stanza con il tavolo in legno, dall’altra un antro cavernoso che si apre sul cielo velato di nuvole, Carlo Saraceni ambienta questa rappresentazione della giovane Maddalena penitente, contornata di tutti i suoi attributi canonici: il libro di preghiera, il teschio, il crocifisso e infine il flagello, che evoca un’espressione tutta fisica del pentimento e dell’espiazione della santa. Il delicato candore della giovane modella scelta dal pittore si differenzia dai modelli più tradizionali per i capelli scuri, sciolti sulle spalle, mentre rientra nel gusto seicentesco la sottile sensualità della raffigurazione con la scelta di far scivolare elegantemente la camicia sulla spalla sinistra a lasciar intravedere il decolleté, evocando al tempo stesso le vicende della vita precedente della ex peccatrice Maddalena. L’opera è una delle diverse redazioni autografe di questo soggetto, il cui probabile prototipo è da identificare nella tela di misure analoghe conservata al Museo Civico di Vicenza, proveniente dalla collezione di Paolo Gualdo (1553-1621). La tela delle Gallerie dell’Accademia è considerata autografa a partire dal suo restauro del 1962 (Lazzarini), ed è forse databile agli ultimi anni di Saraceni (1619-1620) quando, rientrato nella natìa Venezia dopo il lungo soggiorno romano, fu protetto dalla famiglia Contarini, nelle cui raccolte l’opera rimane fino al dono alle Gallerie dell’Accademia nel 1838.