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La tavola di formato rettangolare presenta ancora la splendida cornice originale a dentelli alternati impreziosita da una raffinata ornamentazione cromatica di colore rosso, blu e oro.

Al centro si trova la monumentale figura della Vergine, assisa in trono, che regge con la mano sinistra un grande clipeo entro il quale è raffigurato il Bambino. Questi è intento a benedire due piccoli committenti posti ai loro piedi, probabilmente due coniugi, sui quali Maria allunga in modo protettivo il suo mantello.

Si tratta di un’immagine di straordinaria qualità tecnica e densa di significato. Il modello iconografico di riferimento è quello orientale della Vergine Platytera che mostra tuttavia nella versione originale le figure di Madre e Figlio rigorosamente frontali e in atto orante. In questo caso il tema si fonde con quello della Madonna della Misericordia con il gesto, per quanto solo accennato, del manto mariano avvolgente i fedeli in preghiera e al tempo stesso allude al significato dell’Incarnazione anticipando l’iconografia più tarda della Madonna del Parto. L’opera è forse una commissione votiva affinché la Vergine possa intercedere per una maternità attesa. A fronte di elementi arcaici, come il formato rettangolare e l’incorniciatura cromatica, la figurazione e la stessa complessa elaborazione iconografica mostrano elementi di maggiore modernità. L’attribuzione a Paolo Veneziano, formulata per la prima volta da Evelyn Sandberg Vavalà, non è più stata messa in discussione dalla critica successiva ed è ampiamente giustificata dalla qualità esecutiva che trova nell’efficace definizione ritrattistica del giovane committente uno dei suoi tratti salienti. Meno semplice, invece, risulta la definizione cronologica dell’opera, che rispecchia la difficoltà di ordinamento di tutta la prima produzione dell’artista; appare plausibile una collocazione precoce sul finire del terzo decennio del XIV secolo, anticipata rispetto alla Dormitio Virginis di Vicenza, datata 1333.