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Il ritratto raffigura il doge Alvise Mocenigo (1507-1577) e fu realizzato probabilmente in occasione dell’elezione al dogado del nobile veneziano nel 1570. Alvise Mocenigo divenne doge dopo una brillante carriera diplomatica: prima fu ambasciatore alla corte di Carlo V dal 1545 al 1548 – anni cruciali per l’Impero, impegnato nella lotta contro i principi protestanti e nell’apertura del Concilio di Trento – poi presso la Santa Sede, dal 1557 al 1559. Il dogado di Mocenigo fu altresì un periodo particolarmente complesso per l’amministrazione della Serenissima, dapprima coinvolta nella guerra contro i Turchi per il controllo dell’isola di Cipro e sconvolta internamente dagli incendi di Palazzo Ducale nel 1574 e nel 1577 e dall’infuriare della peste tra il 1575 e il 1577. La gravità delle responsabilità cui fu chiamato l’anziano doge sono percepibili nella sua effige dove un’aria di pacata dignità coesiste con uno sguardo acuto e profondo. La posa e l’abbigliamento sono quelli canonici del ritratto pubblico di un doge, debitamente tratti dai modelli di Tiziano – pittore ufficiale della Repubblica prima di Tintoretto – dove l’effigiato appare seduto sul suo scranno con le mani rilassate e lo sguardo rivolto verso l’esterno. Lo sfondo, tuttavia, è scuro e il doge pare sgusciare dall’ombra, quasi volesse rendere partecipe lo spettatore delle sue più intime inquietudini. L’opera è di notevole qualità, con alcuni brani di grande virtuosismo, come la barba grigia del Mocenigo e il raffinato tessuto d’oro broccato della veste. Lo stesso Mocenigo è ritratto da Jacopo Tintoretto nel grande telero di Palazzo Ducale con Il Doge Alvise Mocenigo presentato al Redentore di cui si conserva il vivace bozzetto preparatorio (Metropolitan Museum di New York; inv. 10.206). Una replica della tela delle Gallerie dell’Accademia è oggi conservata alla Gemäldegalerie di Berlino (inv. 2145).