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Il dipinto, entrato in museo per donazione nel 1930, è stato eseguito con ogni probabilità intorno al 1761, a ridosso della morte dell’effigiato quale omaggio postumo, e si suppone (Magani, 2002) che sia appartenuto al procuratore Andrea Memmo, grande estimatore di Carlo Lodoli e promotore nel 1786 della pubblicazione di un trattato di architettura che propugnava le teorie lodoliane. Nel 1783, infatti, nell’inventario dei beni di casa Memmo compare “un quadro con ritratto del padre Lodoli”.

Lodoli (1690-1761), frate francescano che ha rivestito un ruolo di primo piano nell’ambiente culturale illuminista veneziano, è noto soprattutto come teorico dell’architettura e aspro oppositore al gusto barocco e rococò in favore di un’architettura dalle forme semplificate e rigorosamente funzionali.

Alessandro Longhi, affermatosi come il più importante ritrattista della seconda metà del Settecento a Venezia, costruisce un’immagine quasi monocroma, intonata su gamme terrose, e sceglie di presentare il francescano nel suo studio, vestito con un semplice saio mentre tiene il compasso stretto in una mano e con l’altra regge un grosso tomo appoggiato sopra un secondo volume aperto, alludendo al trattato di architettura redatto dal Lodoli ma mai dato alle stampe.