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Il primo nucleo della celebre collezione Grimani, appartenuta a una delle casate più potenti del patriziato veneziano, fu costituito dal cardinale Domenico nel Cinquecento e ampliata nel corso del secolo dai nipoti, che avrebbero trasformato il palazzo di famiglia a Santa Maria Formosa in un’autentica galleria d’arte. Dedito agli studi umanistici e affascinato dalle antichità romane, Domenico collezionò cammei, intagli e statue, ma affiancò a questa passione anche un interesse per la pittura fiamminga. A Venezia circolavano pittori e dipinti provenienti dai Paesi Bassi, apprezzati in particolare per la meticolosa rappresentazione di paesaggi e scene di vita quotidiana. Esemplari di questo tipo erano presenti nella collezione di Domenico, dove probabilmente trovavano posto anche le opere di Jheronimus Bosch qui esposte.

Complessa e densa di significati, la pittura del maestro fiammingo va ben oltre il gusto per il dettaglio paesistico o grottesco. Essa è permeata dagli ideali di rinnovamento spirituale della devotio moderna, il movimento di riforma religiosa diffuso nei Paesi Bassi nel XV secolo, che promuoveva una fede improntata all’umiltà e semplicità, all’obbedienza alla parola di Dio. Le famose visioni di Bosch sono plausibilmente alimentate dalla lettura di testi mistici infarciti di espressioni figurate, che egli traduce con inventiva in pittura. Ad esempio, il contrasto fra luce e ombra, metafora di salvezza spirituale ricorrente nei testi devoti, diviene il principio generatore delle Visioni dell’aldilà, concepite come una potente antitesi concettuale e visiva. L’immagine dell’inferno non è prodotto di un compiacimento per gli elementi macabri, ma necessario contraltare alla purificazione dell’anima: all’ascesa si contrappone la caduta, per un’anima beata ce n’è una che si contorce nel rimorso. Analogamente, nella Santa Wilgefortis gli imperturbabili spettatori del martirio, a destra, sono contrapposti a coloro che, a sinistra, ne vengono sconvolti, tanto da richiedere il soccorso fisico e spirituale di un frate. I dettagli di Bosch, anche i più piccoli, sono funzionali a rafforzare il senso delle immagini. Nel Trittico degli eremiti Girolamo, al centro, non ha il consueto libro, simbolo di studio, ma solo la pietra con cui si batte il petto mentre contempla il crocifisso. La sua è una lotta psicofisica per la castità, simboleggiata da due emblemi di purezza raffigurati nei rilievi sul trono di fronte a lui: l’unicorno su cui un uomo tenta invano di montare e l’eroina biblica Giuditta con in mano la testa di Oloferne.