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Il dipinto proviene dalle raccolte di Domenico Grimani (1461-1523), straordinario collezionista e amatore d’arte del tempo. Tra Sei e Settecento il trittico è documentato da fonti manoscritte e da documenti d’archivio nel Palazzo Ducale e successivamente, in seguito alla dominazione austriaca di Venezia, trasferito a Vienna nel 1838, insieme al trittico dei Tre santi eremiti pure oggi conservato alle Gallerie dell’Accademia. Dopo la prima guerra mondiale (1919) entrambe le opere di Bosch furono demanializzate e registrate tra i beni delle Gallerie, anche se concessi in deposito a Palazzo Ducale. Sottoposto a un recente restauro che ne ha restituito a pieno la leggibilità, permettendo di apprezzare l’alta qualità esecutiva, il Trittico di santa Liberata è generalmente considerato dalla critica opera autografa del maestro e collocato nella sua tarda attività, intorno al passaggio tra XV e XVI secolo. Nel corso del restauro l’affiorare di una leggera peluria sul volto della santa ha permesso di identificarla con certezza con santa Wilgefortis (Virgo fortis), martire venerata nelle Fiandre ma praticamente sconosciuta in Italia dove è conosciuta col nome di Liberata. Pur nella difficoltà di comprendere tutti i dettagli simbolici presenti nel dipinto, è possibile riconoscere intorno alla santa crocifissa alcuni altri personaggi della vicenda biografica, come il padre sulla destra che ne ordina il martirio come punizione per le mancate nozze e la sua fede cristiana, nonché il promesso sposo, sulla sinistra, riccamente abbigliato e riverso all’indietro. Non immediatamente correlati alla scena centrale sono i due scomparti laterali, quello con visione infernale e sant’Antonio Abate (sinistra), e la veduta marina caratterizzata da una desolata e quasi apocalittica visione di morte sullo sfondo, mentre in primo piano due figure conducono l’attenzione sul riquadro centrale.