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Il dipinto proviene dal Palazzo dei Camerlenghi, sede delle magistrature finanziare e cuore pulsante della vita economica della Serenissima, che assunse l’attuale aspetto tra il 1525 e il 1528 sotto il dogato di Andrea Gritti. La ornamentazione degli uffici amministrativi ivi ospitati costituì accanto a quella di palazzo ducale una delle imprese decorative pubbliche più importanti del tempo. Era d’uso da parte dei patrizi chiamati a ricoprire cariche presso le magistrature ospitate in quel palazzo, celebrare la nomina allogando un dipinto nel quale comparisse il santo omonimo del funzionario e lo stemma araldico dello stesso. Il periodo di servizio, che durava 16 mesi, e gli stemmi nobiliari costituiscono dunque utili riferimenti cronologici per la datazione dei dipinti.

Dato che Faggin in un articolo del 1963 dedicato alla decorazione dei Camerlenghi, sosteneva l’ipotesi molto ragionevole che i dipinti venissero realizzati al momento della entrata in servizio oppure nel corso dei 16 mesi di servizio, anziché in uscita come si riteneva generalmente, la data di esecuzione di questa tela, commissionata dai magistrati Andrea Dandolo e Girolamo Bernardo, usciti di carica rispettivamente il 6 settembre 1552 e il 9 ottobre 1552, dovrebbe dunque cadere nel 1551.

Il modello introdotto da Bonifacio Veronese, responsabile della decorazione dei Camerlenghi per tutto l’arco degli anni trenta e quaranta, viene ripreso da Tintoretto ma rinnovato profondamente: annullamento del paesaggio nel fondo; spazio quasi privo di punti di riferimento se si esclude arido plateau su cui poggiano le figure. La grande croce dipinta trasversalmente, tra i corpi nudi e atletici dei due santi, crea l'illusione ottica di una straordinaria profondità spaziale. Appare magniloquente l’architettura dei corpi, investiti da una luce chiara e meridiana; insistenza formale sulla muscolatura michelangiolismo, gestualità carica di pathos.