Entrata alle Gallerie dell’Accademia nel 1850 con diverse attribuzioni, l’opera è stata restituita a Carl Johann Loth da Hermann Voss. Rappresenta san Romualdo, il fondatore dell’ordine dei Camaldolesi, seduto in meditazione con il teschio in mano, suo tipico attributo.
La figura del San Romualdo è illuminato da una luce intensa che ne fa risaltare plasticamente il volume campendolo sul cupo fondale abitato da uno scorcio di paesaggio. L’individuazione psicologica dell’eremita, posto di tre quarti sul primissimo piano, è esibita nel gesto sospeso della mano e nell’espressione meditativa del volto. Grande risalto è dato al candido saio entro cui è avvolto, reso con un impasto materico corposo e molto luminoso. Si ritiene che il dipinto, per ragioni di stile, debba risalire al primo periodo veneziano dell’artista, in una fase precedente l’adesione al naturalismo violentemente chiaroscurato della corrente dei “tenebrosi” che caratterizza la sua produzione a partire dai pieni anni Sessanta.