Dal 31 marzo al 18 luglio 2022 le Gallerie dell’Accademia di Venezia ospitano un capolavoro di Giorgione, il Ritratto di giovane del 1503 circa, proveniente dal Museo di Belle Arti di Budapest.
Giorgione, Ritratto di giovane (Il ritratto ‘Brocardo’), 1503 circa, Museo di Belle Arti, Budapest, inv. 94
“L’iniziativa – osserva il direttore Giulio Manieri Elia – s’inserisce nella prospettiva di scambi con altri musei internazionali che le Gallerie dell’Accademia stanno fortemente incrementando in questi ultimi anni, volti a creare occasioni straordinarie di dialogo con le opere in collezione. In questo caso l’iniziativa è particolarmente significativa perché aggiunge un eccellente opera di Giorgione nella sala che riunisce i suoi capolavori e per questo siamo particolarmente grati al Museo di Budapest”.
Come osserva Dr. László Baán, Direttore Generale del Museo di Belle Arti di Budapest "Questo straordinario capolavoro, una delle poche opere superstiti di Giorgione, proviene dalla collezione dell'unico patriarca veneziano di origine non italiana, l'ungherese Giovanni Ladislao Pyrker, vissuto nel XIX secolo, e grazie alla sua generosa donazione è entrato a far parte del patrimonio nazionale ungherese. Siamo lieti che, grazie all'eccellente collaborazione tra le Gallerie dell'Accademia di Venezia e il Museo di Belle Arti di Budapest, il dipinto possa tornare nella sua terra natale, Venezia, per la prima volta dopo duecento anni."
Il ritratto, che sarà collocato in sala VIII al primo piano del museo, accanto alle altre opere del maestro di Castelfranco, si ricollega strettamente alla Vecchia di Giorgione sia sotto il profilo compositivo che stilistico. L’esposizione dei due dipinti affiancati sulla stessa parete innescherà probabilmente ulteriori riflessioni in merito alla ipotesi, avanzata da parte della critica, che la tela oggi a Budapest costituisse il coperto […] depento con un’homo con una veste de pelle negra” che accompagnava la Vecchia, secondo quanto indicato nell’inventario Vendramin del 1601.
Roberta Battaglia, curatrice delle collezioni del Quattrocento e Cinquecento alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, afferma che “la proposta di interpretare il ritratto come esempio di contemplazione e ascesi neoplatonica si addice alla dimensione interiore del personaggio cui concorre anche la qualità astratta e ideale della luce. L’incarnato del volto risalta sulla massa compatta della chioma scura, contraddistinta da una insolita bicromia, che ha fatto supporre la presenza di una reticella oppure l’utilizzo di una tintura per schiarire le bande laterali dei capelli, secondo la moda per lo più femminile del tempo”.
Dóra Sallay, Curatrice della Pittura Italiana (1250-1500) del Museo di Belle Arti, Budapest, aggiunge: "Il Ritratto di giovane di Giorgione è una delle opere più importanti del nostro museo, che si distingue tra i ritratti rinascimentali anche per il suo soggetto enigmatico: l'espressione assorta del giovane sconosciuto, il gesto che indica un sentimento profondo e la serie di emblemi difficilmente decifrabili dipinti sul parapetto hanno dato origine a innumerevoli interpretazioni e colpiscono tutti noi con la forza del loro mistero".
Il prestito rappresenta, quindi, un’occasione importante per tornare a ragionare sulla centralità della produzione artistica del grande pittore veneto e per ammirare un’opera di straordinaria qualità accanto ad altri capolavori di Giorgione in museo:la Sacra Conversazione, la Vecchia, la Tempesta, il Concerto,la Nuda.
Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione
(Castelfranco Veneto, 1473/1474 circa - Venezia, 1510)
Ritratto di giovane
1503 circa
Budapest, Museo di Belle Arti ( Szépművészeti Múzeum), inv. 94
Si presenta qui un ritratto di altissima qualità e di indiscutibile fascino, riconosciuto dalla maggior parte della critica di autografia giorgionesca anche se di controverso inquadramento cronologico nel percorso dell’artista, oggi al centro di ulteriore dibattito in virtù di una scoperta documentaria che anticiperebbe di qualche anno la data di nascita dell’artista (1473/1474 circa). Rappresenta un giovane colto nell’atto di portare la mano al petto: un gesto che, al di là della funzione di aprire i fermagli della veste, manifesta, assieme all’espressione assorta e malinconica del volto, un atteggiamento di concentrata introspezione.
Il dipinto ungherese si ricollega strettamente alla Vecchia sia sotto il profilo compositivo che stilistico; la critica (Dal Pozzolo, 2009) ha anche avanzato l’ipotesi che esso costituisse in origine "il coperto […] depento con un’homo con una veste de pelle negra” che accompagnava la Vecchia, secondo quanto indicato nell’inventario Vendramin del 1601.
Le radiografie (Kákay Szabó, 1954) hanno evidenziato come in una prima stesura il giovane volgesse lo sguardo verso l’altro, in direzione della luce proveniente da una finestra posta sulla sinistra della parete di fondo, aperta su un paesaggio in lontananza. Successivamente il paesaggio è stato velato per suggerire l’esistenza di uno spazio chiuso (sebbene ancora si intravvedano il cielo e le montagne) e lo sguardo dell’effigiato è stato abbassato. La seducente proposta di interpretare il ritratto come esempio di contemplazione e ascesi neoplatonica (Ballarin, 1979) si addice bene alla dimensione tutta interiore del personaggio, cui concorre anche la intonazione fredda e argentea della luce che assume una qualità astratta e ideale.
La luminosità dell’incarnato del volto è accentuata dalla massa compatta della chioma scura, contraddistinta da un’inusitata bicromia, che ha fatto supporre la presenza di una reticella oppure l’utilizzo di una tintura per schiarire le ciocche laterali dei capelli, secondo la moda (per lo più femminile) del tempo.
L’enigmaticità del ritratto è accresciuta dagli emblemi raffigurati sul davanzale: un cappello nero a forma di cilindro, con inscritta una V; un tricipite femminile circondato da una ghirlanda, allusione alla virtù della Prudenza; una targhetta con tracce di lettere inscritte non più leggibili. Se si accetta la lettura del dipinto in chiave di spiritualità neoplatonica, la presenza di una immagine allusiva alla Prudenza appare molto appropriata in quanto essa era l’unica delle quattro virtù morali in grado di guidare, secondo Ficino, alla Beatitudine. Gli altri elementi sono di difficile interpretazione e probabilmente allusivi all’identità dell’effigiato, in passato erroneamente riconosciuto nel poeta e giurista Antonio Brocardo in base alla scritta apocrifa apposta sul davanzale.
Scheda a cura della dott.ssa Roberta Battaglia, curatrice delle collezioni del Quattrocento e Cinquecento alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.