Questo “vivacissimo” ritratto, come lo definì Francesco Sansovino nel 1581, proviene dalla Procuratoria de Supra – ufficio preposto alla cura della basilica di San Marco – e fu commissionato a Tintoretto dal patrizio veneziano Antonio Cappello. Questi, eletto procuratore giovanissimo, nel 1525 – dietro esborso di un lauto pagamento – ebbe una importante carriera politica tra il 1539 e il 1540 fu ambasciatore straordinario presso l’Imperatore e il Re di Francia, mentre la specifica esperienza, maturata in gioventù, all’interno delle magistrature tecniche della Serenissima lo portò, a partire dal 1544, a ricoprire ininterrottamente cariche presso i savi alle Acque, i provveditori alle Fortezze ed altre importanti magistrature cittadine. La sua figura, inoltre, è strettamente legata ad alcune delle imprese edilizie più importanti del Cinquecento a Venezia, come la costruzione della Libreria Marciana e quella del nuovo Ponte di Rialto. Tutta l’energia di Antonio Cappello è perfettamente racchiusa nel ritratto che, entro il 1565, Tintoretto realizzò per l’ormai anziano procuratore. Sebbene le fonti antiche non siano unanimi nell’attribuzione dell’opera, oggi la critica è concorde nel riconoscerne la paternità tintorettesca, riferendolo alla fase matura. Il Cappello, abbigliato con il robone cremisi, proprio della carica che ricopriva, appare raffigurato da un punto di vista leggermente rialzato – espediente pittorico piuttosto inusuale nella ritrattistica di Robusti, ma ricorrente in quella di Tiziano – contribuendo a rendere l’effige più dinamica e conferendogli, al tempo stesso, un’aria di maggior solennità. Il protagonista volge lo sguardo al di fuori dello spazio dipinto, verso l’osservatore, senza tuttavia degnarlo di attenzione: la posa della mano destra denuncia un atteggiamento oratorio mentre lo sguardo deciso – “vivacissimo” appunto – denota bene il carattere deciso e intraprendente.
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