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La tavola è registrata tra i beni della Scuola Grande della Carità al momento della loro inclusione nel catalogo delle Gallerie dell’Accademia (1812). Le vicende collezionistiche precedenti non sono note, anche se è lecito ipotizzare che essa fosse donata alla Scuola da un confratello. Alla descrizione del paesaggio, di caratterizzazione minuta e descrittiva quasi “alla fiamminga” si contrappone lo studio già naturalistico della luce e delle nuvole vaporose in cielo e al di sotto degli angeli cherubini. Questi ultimi, dalle orbite vuote e dipinti di un color rosso acceso, con evidente accentuazione antinaturalistica e arcaistica, citano direttamente il prototipo di Jacopo Bellini, pure alle Gallerie (cat. 582), e l’interpretazione che a sua volta ne aveva fornito il cognato Andrea Mantegna qualche anno prima intorno al 1485 (Madonna col Bambino e coro di cherubini, Milano, Pinacoteca di Brera). Cronologicamente il dipinto si colloca quindi subito dopo, tra il 1485-1490, in relazione stretta anche con il suo esito più vicino che è la Madonna di Alzano dell’Accademia Carrara, in una fase di Bellini di grande sperimentazione ma non ancora giunta a quegli esiti rivoluzionari di fine secolo, caratterizzati da quell’inedita armonizzazione tra piano e spazio destinata a segnare i successivi sviluppi della pittura veneta.