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Nella penombra di uno spazio esterno una donna inginocchiata è prigioniera dei suoi pensieri, gli occhi fissi su un teschio retto dalla mano destra, mentre la sinistra le sorregge la fronte nel tipico atto della meditazione. La bellezza e gioventù della protagonista farebbero pensare al classico tema della vanitas vanitatum ovvero ad un monito sulla fugacità e brevità dei piaceri della vita terrena. La composizione è in realtà resa più complessa dalla presenza di altri oggetti significanti come il grande libro aperto a terra, i pennelli del pittore legati da un nastro bianco, una scultura antica, la presenza del cane e di un globo celeste. Il riferimento è, indubbiamente, alla celebre incisione di Albrecht Dürer raffigurante la Malinconia, dove compaiono diversi dei simboli qui ripresi da Fetti. Tuttavia, se per l’artista tedesco l’interpretazione dei simboli rimane prettamente in ambito di erudizione umanistica mentre in Fetti prevale la lettura cristologica e moralistica ovvero l’abbandono delle distrazioni mondane e la concentrazione sulla preghiera. Tale messaggio è confermato anche dal simbolismo della vite che si arrampica sul muro sbrecciato: essa sarebbe la “vera vite” e quindi allusione a Gesù (Gv, 15, 1). La vita melanconica, di contemplazione e moderatezza era quindi intesa come via verso la salvezza attraverso l’elevazione dello spirito, secondo quanto anche teorizzato da san Paolo nella Lettera ai Corinti (7, 10). La vasta fortuna di questo soggetto è confermata dalle diverse copie esistenti di cui, quella alle Gallerie dell’Accademia, è una di quelle di migliore qualità (Safarik 1990). È interessante notare come il Guercino, durante una sua visita a Mantova nel 1618, vide l’opera di Fetti, riprendendola fedelmente per la sua Allegoria della Notte affrescata nel cosiddetto Casino dell’Aurora di Palazzo Ludovisi a Roma nel 1621.