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La tavola giunge dalla collezione Manfrin alle Gallerie come opera di Perugino. Tale attribuzione è mantenuta fino al 1875, quando si propende per Boccaccio Boccaccino per poi preferire Pseudo-Boccaccino, identificato, relativamente di recente, con la personalità di Giovanni Agostino da Lodi. L’artista, personaggio chiave per la diffusione a Venezia dei modi di Leonardo prima del suo soggiorno veneziano del 1500, raffigura in questa tavola l’episodio evangelico della lavanda dei piedi nel momento in cui Cristo persuade Pietro, seduto in primo piano, a non rifiutare il suo gesto caritatevole, viatico per la vita eterna. Si noti la singolare ambientazione della scena: mentre solitamente gli apostoli si dispongono in uno spazio ampio e arioso qui il pittore sceglie di affastellare le figure nell’angolo di una stanza buia, scenograficamente illuminata da una calda luce dorata proveniente da sinistra. La formazione milanese di Giovanni Agostino è tradita dalla particolare attenzione rivolta alla resa delle fisionomie e dei moti d’animo dei personaggi, che richiamano le soluzioni leonardesche dell’Ultima Cena del convento di Santa Maria delle Grazie, in particolare nell’associazione, sulla destra, dei volti di un pensoso ragazzo riccio e di un anziano segnato dalle rughe e dalla malinconia. L’opera è l’unica datata della produzione dell’artista lodigiano – sullo scanno marmoreo è inciso, infatti, l’anno 1500 – e appartiene alla sua prima produzione, ancora influenzata dalla resa dei corpi e degli elementi stereometrici propria del Bramantino, ma allo stesso tempo aperta alle novità veneziane, che Giovanni Agostino abbraccia adottando i toni caldi e fusi di Giorgione.