L’opera fu ritrovata nella canonica del Duomo di Burano e acquisita alle collezioni museali nel 1932. L’immagine rappresenta una Vergine Odighitria (colei che conduce mostrando la direzione) nella variante Dexiokratousa in cui il Bambino è retto sul braccio destro e indicato con la mano sinistra. Il fondo della tavola è dipinto di rosso, colore comunemente utilizzato a Venezia e in ambito adriatico per surrogare la più costosa foglia d’oro. L’aspetto più evidente dell’immagine è il carattere intensamente iconico, i tratti somatici e i chiaroscuri sono definiti in modo stereotipato e grafico con linee essenziali che disegnano gli occhi, le arcate sopraccigliari, la canna nasale e la bocca. La tavola è stata visibilmente ridotta su tutti e quattro i lati, le dimensioni originarie erano quindi decisamente maggiori.
Il dipinto costituisce l’opera più rappresentativa di un insieme stilistico fortemente caratterizzato che fa capo a un’unica bottega, quello delle Gallerie dell’Accademia è probabilmente il pezzo più antico del gruppo a cui debbono aggiungersi anche: un dittico del Museo dell’Ermitage, un dossale frammentario un tempo al Museo d’arte orientale e occidentale di Kiev, il trittico con Madonna col Bambino, santi e due donatori del Museo Archeologico di Spalato e la Madonna col Bambino del Musée d’Histoire et d’Art di Lussemburgo.
In più occasioni sono state avanzate perplessità sulla reale appartenenza al contesto veneziano di questo modesto maestro e sono state proposte generiche localizzazioni alternative in ambito dalmata o adriatico; la tavola, tuttavia, si inserisce coerentemente nel contesto figurativo lagunare, come ben evidenzia il legame figurativo più volte sottolineato con un’opera di tutt’altra qualità come la Madonna allattante della Basilica Marciana.