Torna al sito

La tavola, proveniente dal Magistrato del Sale ai Camerlenghi, potrebbe essere stata commissionata in origine per un ambito di devozione privata: il formato orizzontale e il soggetto, una sorta di sacra conversazione a mezza figura, sono tipici, infatti, di questo genere di commissioni. L’artista, apprezzato dalla Serenissima, che gli affida la realizzazione di opere quali la Madonna in trono fra i santi Girolamo e Francesco e due magistrati per i Magistrati della Zecca (1486, Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro) e “tre stendardi grandi” per Piazza San Marco (1505 circa), nonostante la prima formazione presso Lazzaro Bastiani, tradisce qui una netta influenza da parte di Giovanni Bellini. L’impianto compositivo della tavola ricorda, infatti, la Sacra conversazione Giovanelli (Venezia, Gallerie dell’Accademia, cat. 881), confronto che suggerisce una datazione vicina alla fine del primo decennio del Cinquecento. Tuttavia, l’atmosfera fusa e naturalistica di Bellini manca nel dipinto di Diana, che preferisce soffermarsi sui tratti particolarmente realistici dei personaggi e predilige toni freddi e ombre marcate: il riferimento dell’artista, in questo caso, è Lorenzo Lotto, il quale propone un simile trattamento delle superfici e dei lineamenti fisiognomici nella Sacra conversazione custodita alla Scottish National Gallery di Edimburgo (1505 circa, cat. NG 2418). Il panneggio spezzato, che diventa quasi un motivo decorativo, ricorda, invece, i modi di Jacopo de’ Barbari, a sua volta fortemente influenzato dalla pittura nordica. Benedetto Diana, perciò, si distingue fra gli artisti minori di questa fase artistica, così ricca e fervente per Venezia, proprio per la sua capacità di interiorizzare stimoli diversi senza perdere una propria coerenza stilistica complessiva.