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Proveniente dal convento di Santo Stefano di Padova e acquisita dalle Gallerie nel 1853, l’opera è stata variamente attribuita dalla critica, che ha proposto i nomi di Pier Maria Pennacchi, Jacopo da Montagnana, Gentile Bellini e Francesco Benaglio, senza giungere, però, a una proposta concorde e pienamente convincente. La tela presenta sicuramente una stretta relazione con l’innovativo impianto compositivo del Trittico di San Zeno di Andrea Mantegna (1456-1459, Verona, Basilica di San Zeno): la struttura marmorea porticata, i santi stanti colti in diversi atteggiamenti meditativi, il trono classicheggiante sopraelevato su cui siedono la Madonna e il Bambino attorniati da piccoli angeli che cantano e suonano, il pavimento a scacchi, i bassorilievi sulla trabeazione e le nuvole spumose tradiscono questa diretta derivazione. Il riferimento a Benaglio, artista veronese che innova il linguaggio locale, di matrice tardogotica, grazie al confronto con la produzione di Squarcione, Mantegna e Piero della Francesca, è suggerito dal confronto della tela in questione con l’unica opera certa dell’artista, il Trittico di San Bernardino (1462-1463, Verona, chiesa di San Bernardino), in cui il riferimento al celebre polittico mantegnesco fu sicuramente richiesto dalla committenza. Coerenti con lo stile di Francesco sono i marmi mischi e le pieghe delle vesti “a cannelli”, ma il copricapo squadrato e il volto ovale della Vergine, che tornano in un’altra opera del Benaglio come la Madonna del ventaglio (Verona, Museo di Castelvecchio), non compaiono nella tela delle Gallerie, così come la ricca serie di dettagli ed elementi decorativi che satura il Trittico di San Bernardino. Al momento, pertanto, l’attribuzione a Benaglio resta al vaglio degli studi specialistici.