A partire dalla seconda metà del Settecento l’opera risulta presente nella raccolta di Giovanni Boschi, come documentato da un’incisione di Pietro Monaco del 1763. Acquistata successivamente da Giovanni Maria Sasso, probabilmente dallo stesso Boschi, la tela ricompare nel catalogo di vendita della sua collezione del 1803. Passata nelle proprietà del pittore veneziano Giovanni Zennaro, l’opera è comprata nel 1903 da Wilhelm Bode, direttore del Kaiser Friedrich Museum di Berlino, che la dona alle Gallerie dell’Accademia.
Si tratta del modello per la pala dipinta da Pittoni intorno alla metà degli anni Trenta del Settecento per la chiesa della Maddalena dei frati cappuccini di Parma, conservata presso la Galleria nazionale della medesima città. Differentemente dalla produzione dei bozzetti preparatori, il modello presenta una resa pittorica definita e compiuta, ovvero una versione ridotta della pala, utile ad essere esposta in collezione privata.
L’ambientazione scura della scena descrive la caverna dove la santa decide di ritirarsi in preghiera, mortificando il proprio corpo con il digiuno. La figura inginocchiata con il volto di profilo è resa attraverso pennellate decise che diventano sempre più rapide in prossimità dei margini esterni del dipinto, conferendo un senso di moto vorticoso all’intera composizione. Il dinamismo si fonde ad un carattere patetico, ricorrente nella produzione sacra dell’artista, qui enfatizzato dalla mano sinistra che la santa stringe al petto. Gli attributi iconografici lasciati in ombra nella parte inferiore del dipinto come il teschio, il balsamario e il flagello sono legati alla fase ascetica della penitenza; l’aureola, unica fonte di luce interna al dipinto, evidenzia i capelli biondi sciolti sulla schiena e rivela la chiarezza del robusto incarnato femminile. Dal punto di vista cromatico, Pittoni giustappone la tunica azzurra e il drappo violaceo ai colori terrosi dello sfondo dove tre putti in volo completano la composizione.