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Diverse ipotesi sono state avanzate in merito alla provenienza originaria della tavola, posseduta nell’Ottocento dal mercante d’arte Giovanni Maria Sasso, che la acquista alla fine del Settecento a Padova dall’abate Foscarini: parte della critica ritiene che si trovasse a Palazzo Ducale, mentre altri propendono per la Scuola di San Giovanni Battista di Murano, centro di produzione cartografica con cui Jacopo Bellini fu sicuramente in contatto. Datata stilisticamente agli anni Cinquanta del XV secolo per la solidità delle figure, vicina a opere di Mantegna quali la Madonna Butler (1454 circa, New York, Metropolitan Museum of Art, cat. 32.100.97), l’opera anticipa soluzioni che saranno distintive della produzione del figlio di Jacopo, Giovanni Bellini: la dolcezza dei tratti del Bambino e il parapetto poligonato che sembra appartenere allo spazio di chi guarda introducono un senso di familiarità funzionale a una modalità di preghiera intima e personale. I cherubini blu con aureole dorate che ricoprono lo sfondo sono il simbolo della Sapienza divina e ricordano un motivo tipicamente toscano, adottato da artisti quali Michelozzo e Donatello. Al mistero dell’Incarnazione di Cristo e alla nuova era inaugurata dalla Sua morte e risurrezione allude il libro chiuso in primo piano, mentre il frutto che il Bambino stringe nella mano sinistra lo caratterizza quale Nuovo Adamo, venuto a riscattare l’umanità dal peccato originale. La compostezza severa della Madonna e la sua corporatura cilindrica, avvolta in un manto attraversato da fitte piegoline, tuttavia, danno la misura della distanza che separa la maniera di Jacopo da quella del figlio Giovanni, che saprà innovare profondamente questo genere producendo capolavori di insuperata bellezza e di nuovo realismo pittorico.